Siamo diventati un paese del terzo mondo

11 settembre 2012 § Lascia un commento

Ascolto un po’ perplesso le chiacchiere da open space. Mamme che discutono del futuro dei loro figli, pronte a spendere qualche migliaio di euro per iscriverli a nidi bilingue e prepararli al futuro fin da ora. Discussioni su complessi residenziali chiusi, dove ci sono le guardie armate all’ingresso e i prati sono sempre verdi, il cielo blu e le case hanno una piscina, un cane e la colf compresa nel prezzo.

E intanto fuori la gente muore di fame, schiacchiata dalla crisi e costretta a fare la spesa con i pochi buoni pasto rimasti, o nei discount peggiori della Capitale.

Il cielo e la terra, l’inferno e il paradiso. Due mondi che iniziano a non parlarsi più, con una fascia intermedia sempre più piccola, inconsistente, isolata.

Come in un qualunque paese del terzo mondo.

Se se ne va un Laureato

22 novembre 2011 § Lascia un commento

Un lunedì del mese scorso (il 20 ottobre 2011) S. è partito. S. è nato in Bangladesh da una famiglia sicuramente più agiata della media, il padre lavora in edilizia in uno dei paesi del Golfo Persico: è una di quelle braccia povere che costruiscono i mega grattacieli che, fino a qualche mese fa, davano lustro alla miriade di parassiti del petrolio.

S. è un ragazzo alto e scuro (un po’ più degli altri), simpatico, spigliato, occidentalizzato. Arrivato in Italia meno di 5 anni fa, era laureato in informatica al suo paese quando si è ritrovato, numero tra i numeri, nella miriade di immigrati che costituiscono l’ossatura della produzione del nostro Paese. Da laureato, e forte della posizione del padre, ha speso un po’ di tempo ad imparare l’italiano e ad ambientarsi in italia prima di iniziare a lavorare. Fino a quando il padre non lo ha messo alle strette e lo ha costretto a darsi da fare.

Credo abbia fatto di tutto e non posso dire molto sulle sue professioni. Di sicuro ha lavorato nei cantieri navali, a Genova, Ancona, Trieste, Barcellona, Amburgo: verniciature, rifiniture, legni e tappezzerie. Nei tempi morti ha affiancato un suo amico nella conduzione di un piccolo call center al nostro quartiere, tirandolo a lucido e tenendolo sempre in ordine.

Qualche settimana fa ci disse che stava per partire. Per Barcellona, cantieri navali. Ci ha spiegato che la cantieristica in Italia è morta e che si lavora solo all’estero. Mi disse anche che è un peccato, perché qui si sta bene.

Io l’ho conosciuto in palestra, facciamo insieme prepugilistica (o qualcosa di simile). S. è la nostra “tigre del Bengala“. Prima che partisse abbiamo organizzato una cena a casa per salutarlo e solo all’ultimo momento abbiamo scoperto una verità su questo laureato: è anche un imprenditore. Ha una piccola società di finiture per le barche. Quando c’è un grosso lavoro mette insieme la squadra di lavoratori specializzati e parte, ovunque ce ne sia bisogno. Stavolta è Barcellona, domani non si sa.

S. ama questo paese. Ovunque  il lavoro lo chiami torna sempre qui. S. ha aperto la sua società qui, in Italia, perché questo paese gli piace, gli piacciono le persone, il clima, il nostro modo di vivere e di convivere. Solo che l’Italia sta morendo anche per lui, per il suo mestiere e per la sua professionalità. L’Italia sta morendo anche per la sua voglia di fare. Ed è un peccato. Questo paese non è molto capace di attirare le persone per la propria cultura, di solito tira braccia, sudore, lavoro. S. è uno che ha sia la prima che i secondi, speriamo non decida di andare via.

Torna presto S.

Da Lavoce.info: Un grande Bazooka per la BCE

21 novembre 2011 § 2 commenti

Rilancio un articolo che fa il paio con quello appena pubblicato e con alcune riflessioni precedentemente espresse.

È stato pubblicato stamattina (21/11/11) da Andra Terzi su lavoce.info.

«I titoli di Stato sono quanto di più vicino alla moneta di Stato. E solo la Banca centrale europea può salvare la moneta europea. Con un’operazione d’acquisto dei titoli di Stato in euro che annullerebbe ogni spread. È definito il grande bazooka. Vi si oppongono strenuamente i banchieri centrali tedeschi con argomenti di scarso fondamento. Nuove regole sulle decisioni fiscali dei paesi membri della stessa area monetaria sono auspicabili e inevitabili. Non sembra invece un atteggiamento prudente quello di insistere sulle regole quando si è vicini al collasso.»

Io sono convinto che anche questo sia solo una parte del problema, e che toccherà intervenire radicalmente sul meccanismo del debito:

Ciò non ostante vi invito a leggere il seguito.

Adesso tocca alla Francia?

21 novembre 2011 § Lascia un commento

Come diceva il mio amico Icaro la crisi non nasce solo e soltanto dall’inettitudine della nostra classe politica, ma deriva, forse quasi esclusivamente, da una mancanza di governo della moneta acuita drammaticamente dal ruolo delle destre nel panorama politico attuale.

Da anni ci ripetiamo che la sinistra, in Europa e nel mondo, non ha più tante ragioni da proporre ai cittadini. E forse questo fatto è ancor più assurdo se si pensa ai danni provocati dalle politiche neoliberiste messe in campo nel mondo in questi anni. Come ho avuto modo di scrivere, le risatine isteriche di Merkel e Sarkozy all’indirizzo di Berlusconi erano il simbolo più chiaro della paura che dopo l’Italia toccasse a loro e non solo perché le loro banche erano fortemente impregnate di titoli italiani. Se non si porrà mano ai meccanismi di governo della moneta i mercati si accaniranno indifferentemente su tutti gli stati europei, anche i più grandi. È solo questione di tempo: come succede ai predati nella savana, i primi a soccombere sono i cuccioli indifesi, ma una volta uccisi quelli, i leoni si concentrano sui vecchi.

Lo stanno già facendo con l’Italia, lo faranno anche con la Francia del ridanciano nanetto (strano che la statura corrisponda sempre più spesso ad inettitudine). Chi si salva? Nella savana si salvano gli animali che sanno cambiare rotta, che hanno fiato da vendere, energie da spendere e praterie da solcare. Forse è arrivato il momento di fare tutte queste cose insieme. Con la speranza di vedere meno idioti ridere e più cervelli lavorare.

Che c’è di male?

15 novembre 2011 § Lascia un commento

Sabato sera abbiamo festeggiato tutti, ed è inutile che ci nascondiamo dietro il ditino pigro dei benpensanti. Abbiamo festeggiato perché questo è il paese delle tifoserie contrapposte, fin da quando intorno al Circo Massimo si contrapponevano squadre di irriducibili che se la suonavano cordialmente. È il paese dei capitani di ventura, di quelli che assoldavano poveri malcapitati per mettersi al soldo di qualunque potenza disponibile a spenderli per un pezzo di terra peninsulare. È il paese delle signorie inconsistenti, sempre pronte a far passare gli eserciti lanzichenecchi di Georg fon Frundsberg pur di conquistare un quarto di nobilità agli occhi dell’imperatore. È il paese in cui, simpaticamente, i lombardi vincitori sul Barbarossa si divertirono a smontare pietra su pietra la povera Lodi rea di aver dato l’appoggio al tedesco.

Chi piange oggi le risa sguaiate ai danni di Berlusconi, dimentica la morte in effige riservata a Prodi nel corso delle manifestazioni del “Partito dell’Amore”. Dimentica le tonnellate di fango cosparse sui Fini e sui Boffo dai giornali del padrone.

E poi, che c’è di male? Rallegrarsi per la fine di un regime infame, tenuto su a forza di giornalisti comprati, parlamentari di terza classe, ballerine e nani sempre pronti a cambiare non solo bandiera, ma anche i propri principi morali, pur di far piacere al Principe (pensate al Ferrara difensore della vita contro l’aborto e a quello difensore delle puttane contro il moralismo dei giornalisti di sinistra) è giusto. Cosa c’era di male a pensare, sabato sera, almeno fino alla riapertura delle Borse, che forse si era aperta una finestra che lasciava filtrare un po’ di aria fresca. Che c’è di male a pensare che un’altro Paese è possibile e che deve ripartire da un consenso più ampio, liberato da una zavorra indecente, fatta di affari privati e pubblico meretricio?

Ovviamente non basterà. E non sarà la serata di sabato a far cadere Berlusconi. Ma, di sicuro, la sua partenza momentanea ha allentato la tensione di un paese nel quale l’attaccamento del Cavaliere alla poltrona esercitava una violenza ben più forte di quattro scalmanati in piazza. Una violenza sorda, la violenza di chi non da prospettive a nessun altro se non a se stesso.

E così Berlusconi se ne va…

9 novembre 2011 § Lascia un commento

O almeno così pare. E tutte le volte che lo fa, anche in passato è stato così, lo fa quando la macchina è ormai senza benzina, è passata in riserva, e il benzinaio e parecchio lontano. Così, chiunque lo segua dovrà scendere e spingere, facendosi carico sia del disonore che della fatica.

Nel frattempo Lui si sarà preparato un salvacondotto, un colpo di coda ben assestato, una via di uscita per salvare patrimonio di famiglia, influenza politica, potere ed incolumità dalla magistratura. No. Berlusconi non è il male assoluto. E’ solo la cartina di tornasole di un paese decisamente arrivato al capolinea, un paese nel quale, come nel medioevo, chi dissente è un traditore, chi contesta va direttamente al rogo senza processo e con una buona dose di tortura mediatica.

Adesso si apre la partita del “io sono sempre stato contro…”. Se e quando si farà da parte, come le lumache dopo una pioggerellina primaverile, usciranno allo scoperto quanti per anni lo hanno appoggiato e spalleggiato, usciranno e diranno che loro gliel’avevano detto, consigliato, scongiurato… che, no, nemmeno loro lo sopportavano più. E come accadde alla fine del Fascismo, ci ritroveremo le solite facce da stronzi sulle solite poltrone, e non cambierà mai nulla.

Adesso una parte del paese da addosso all’opposizione. Come se ci si potesse accanire contro un poveraccio in sedia a rotelle che ha giocato per anni contro Pelé. Si dice: “rifacciamo la legge elettorale”… sì, e poi anche quella sul conflitto di interessi, e qualche buona norma anti trust.

Forse riusciremo a trovare un paese normale sotto la marea di merda che ci hanno spalato sopra fino ad ora.

P.s.: scrivo questo post per scaramanzia… tanto non se ne va!!!

La trappola del governo

3 novembre 2011 § Lascia un commento

Ieri sera (3 nov. 2011) il governo si è riunito per varare le misure richieste dall’Europa. E come al solito ha deciso di non decidere. Solite parole al vento, promesse annunciate, dietro front sulle misure più impopolari. E, soprattutto, un tatticismo che rivela, per l’ennesima volta, la mancanza di senso dello Stato della maggioranza.

Quante volte il governo è andato avanti a colpi di decreti? E quante volte ha chiesto la fiducia? Ogni volta che il governo ha voluto tirare dritto ha scelto l’atto di imperio (sulle intercettazioni, sulle leggi ad personam, sulla giustizia, su tutti i provvedimenti di interesse del premier). Stavolta no!

Stavolta si ricorre ad un maxiemendamento alla legge finanziaria (Legge di Stabilità… quale!?!). E così si prepara il trappolone per l’opposizione:

  • se l’opposizione contribuisce con responsabilità e la vota, al momento delle elezioni Berlusconi potrà dire che non è il solo responsabile delle politiche di lacrime e sangue
  • se l’opposizione non la vota Berlusconi potrà affermare che non è lui che si è attardato, o la sua maggioranza, ma sono stati gli altri a mettergli i bastoni tra le ruote

Inoltre, impantanando un provvedimento del genere in Parlamento, potrà sempre dire che “no… in Italia il Governo non conta niente, sono le lungaggini del Parlamento a bloccare il paese e a metterlo in scacco”.

Come al solito la miope prospettiva elettorale ha prevalso sulla necessità di assumersi delle responsabilità, di governare. Berlusconi non può permettersi di pedere, perché se succedesse una cosa del genere dovrebbe rispondere di fronte alla legge come normale cittadino, e i suoi problemi personale sono di gran lunga più importanti della salvezza della nazione.

Una volta di più, abbiamo la dimostrazione del perché quest’uomo ha scelto di entrare in Politica. Che tristezza!

Se proprio volete licenziare, prima, proviamo a gestire meglio

31 ottobre 2011 § Lascia un commento

Si fa un gran parlare della necessità di accelerare le modalità di licenziamento in Italia. Il nostro sistema economico sarebbe ingessato, guarda caso, da quanti lavorano con un contratto a tempo indeterminato.

A parte il fatto che la maggior parte dei lavoratori italiani non godono di tutele da questo punto di vista, occorrerebbe fare un po’ d’ordine su quanto succede in giro per il mondo nel momento in cui si cucinano ricette di precarietà per il mondo del lavoro. Non mi riferisco agli ammortizzatori sociali, dei quali anche i politicanti della pseudo sinistra sembrano essersi ricordati, ma delle misure che consentono ai lavoratori di intervenire nei meccanismi vitali dell’azienda per evitare i licenziamenti “per speculazione”.

Anche ieri uno come Matteo Renzi ha ribadito il concetto che, per evitare lo scontro generazionale tra gli iperprecari in ingresso e gli iperprotetti in uscita, occorrerebbe equiparare, verso il basso, i diritti dei lavoratori. Oltre a ricordare a Renzi che dovrebbe essere di sinistra e che le sue ricette sono ampiamente fallite nel corso degli ultimi 20 anni (si veda l’Inghilterra che ha ormai venduto la sua ultima fabbrica), bisognerebbe fargli presente che i modelli, in giro per il mondo, sono tanti, e che non è da folli guardare più lontano.

Premetto che non sono contrario ad un sistema più equilibrato di diritti. E vada per sistemi di protezione più estesi che consentono ai lavoratori di resistere ai licenziamenti (reddito di cittadinanza, formazione continua, ecc.). Io però, se proprio devo, guarderei alla Germania, perché mi faccio sempre un po’ di domande:

  • chi decide che un’azienda è in crisi?
  • chi decide che la crisi è determinata dal mercato e non dalla speculazione degli imprenditori?
  • chi decide che a pagare siano gli operai e non i comportamenti illeciti degli imprenditori?

In Germania e in Scandinavia la questione è stata risolta facendo entrare i rappresentanti dei lavoratori nei consigli di amministrazione. Così facendo si è fatto in modo che i lavoratori controllassero l’operato degli azionisti, così da evitare che gli imprenditori utilizzassero i licenziamenti per coprire le proprie mancanze.

In Italia il processo potrebbe essere questo:

  • ripenalizzazione seria del reato di falso in bilancio
  • nuove regole che limitino la speculazione finanziaria
  • sostegno alle ristrutturazioni aziendali, alla ricerca, all’internazionalizzazione e alla formazione
  • ingresso dei lavoratori nei consigli di amministrazione
  • norme che favoriscano la trasformazione in cooperative delle aziende in caso di dichiarazione di crisi da parte degli azionisti

Sostanzialmente il concetto è il seguente:

  • prima ti controllo
  • verifico che fai il tuo dovere di imprenditore,
  • evito che tu faccia speculazioni e falsi in bilancio,
  • evito che tu spenda i soldi dell’azienda per fare speculazioni immobiliari o per comperare qualche SUV in più,
  • successivamente provo a spingerti verso la ricerca e l’innovazione,
  • pretendo formazione e gestione seria delle competenze,
  • provo a suggerirti di esplorare qualche nuovo mercato 
  • poi, se proprio arriva la crisi, pretendo che
    • prima mi sia data la possibilità di autogestirmi
    • e poi, se proprio non c’è niente da fare, mi faccio licenziare.

In Germania fanno (quasi) così. E crescono il doppio rispetto a noi. Norme sul licenziamento facile, in un Italia che nel XXI secolo produce ancora, miopemente, tondini di ferro, sarebbero solamente un autorizzazione alla macelleria sociale.

Banche europee e risatine di leader strabici…

25 ottobre 2011 § Lascia un commento

Domenica, il siparietto comico della Merkel e di Sarkozy è sembrato a molti il segno di un nervosismo per una sindrome da accerchiamento. Le due potenze, solide e ben strutturate, guidate da politiche virtuose, insignite della medaglia del pareggio di bilancio, sarebbero assediate da economie poco pulite, incapaci di far fronte ai propri impegni.

Poi, leggendo tra le righe, si scopre che quella risata era isterica, e derivava dal fatto che i leader delle due superpotenze non si sono accorti che dal 2008 le loro banche hanno giocato un po’ troppo con i debiti sovrani dei PIIGS e rischiano di andare a gambe all’aria insieme ai paesi che gli stessi leader si attardano ad aiutare.

A metà settembre Moody’s ha tagliato il rating dei giganti del credito francese (Crèdit Agricole, Société Générale) e si è rifiutata di rialzare il rating di BNP che era già stata declassata. Un po’ la stessa sorte che è toccata ad una ventina delle nostre banche dopo il declassamento dell’Italia. Qualche giorno fa le agenzie hanno minacciato di declassare direttamente la Francia.

Di fronte alla marea che monta i leader europei non si stanno ancora facendo le domande che contano? nemmeno di fronte al fatto che le forche caudine sono arrivate anche per loro:

  • ma non sarà che è l’intero sistema che non funziona più? 
  • non sarà che la crescita dell’Europa si è globalmente ingessata?
  • non sarà che forse era il caso di cambiare radicalmente rotta nel 2008, al posto di dare soldi a banche che hanno giocato sporco anche con il denaro pubblico?

A questo punto la domanda ce la facciamo noi:

  • visto che un leader è pagato per gestire, non è il caso di chiederne le dimissioni quando arriva troppo tardi di fronte a crisi annunciate?
  • perché quando si tratta degli onori le cariche politiche incassano senza batter ciglio e poi non restituiscono quando si scoprono incapaci, fallimentari e strabiche?

La domanda si fa sempre più stringente se si considera che nemmeno oggi si cambia rotta (completamente), nemmeno oggi si tenta di ridare un ruolo alla politica, di spuntare le unghia agli speculatori, di impedire lo sciacallaggio delle persone a favore dei mercati. Nemmeno oggi ci si accorge che abbiamo sbagliato i compagni di viaggio e dobbiamo cacciarli a pedate nel culo (vedi: neoliberisti, banchieri, finanzieri, et. co.). Nemmeno oggi si alza la voce e si dice con chiarezza: paghiamo il debito solo se detenuto dai nostri cittadini… gli speculatori si possono scordare soldi e interessi.

Anzi… si torna a parlare di ricapitalizzare le banche. In attesa che i cittadini si incazzino davvero.

L’Europa bicefala e i conti che non tornano

24 ottobre 2011 § 2 commenti

Ieri Sarkozy e la Merkel ridacchiavano del nostro paese. Dal secondo dopoguerra la Francia e Germania sono considerate le due facce buone del vecchio continente, si configurano come le nazioni che determinano, nel bene e nel male, la direzione che prenderà la politica comune. Solo la protervia di De Gaulle era riuscita a spezzare questo asse.

Oggi questo asse è cementificato dalla necessità: le banche tedesche e francesi sono piene di titoli tossici dei paesi PIIGS (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) e i rispettivi premier non possono fare altro che cercare un modo per evitare il proprio (e, di conseguenza, l’altrui) tracollo finanziario.

Da nessuno dei due, però, e arrivata una minima ammissione di colpa in merito all’azione espansionistica indiscriminata dei propri istituti di credito. E neppure si è mai sentito un’accenno alla necessità di contrarre le politiche sociali al fine di dare basi più solide al proprio sistema economico. Insomma: si chiedono agli altri sacrifici che non si intendono imporre al proprio paese. E nel frattempo ci si allena alla politica dello scherno, che al di là dell’opportunità personale, rischia di essere deleteria proprio dal punto di vista della credibilità delle due potenze.

L’Europa era nata da un atto di umiltà dopo una guerra sanguinosa. Oggi rischia di essere uccisa da atti idioti di superiorità che non portano da nessuna parte, perché nella storia dell’Unione Europea ogni passo avanti collettivo è arrivato in corrispondenza con un passo indietro delle singole Nazioni, perché ogni avanzamento ha visto coinvolti, ad un livello di parità politica, tutti gli attori coinvolti.