L’Europa brucia… e noi da che parte stiamo?

9 agosto 2011 § Lascia un commento

La rivolta di Londra è già stata etichettata come opera di una teppaglia impazzita. Probabilmente, lì come in Francia, quella situazione produrrà un nuovo Sarkozy. La criminalizzazione paga, tanto e subito: chiusi nelle nostre vecchie corazze borghesi temiamo lo scatto d’ira del diverso che, in quanto tale, deve starsene al suo posto e attendere. Non si capisce bene cosà però.

La rivolta di Londra assomiglia molto a quella di Tunisia ed Egitto. Come nei paesi del nord Africa, a rivoltarsi sono giovani generazioni senza speranza, macinate continuamente in un sistema a doppio flusso: quello superiore destinato ai bianchi, che possono arrivare ai livelli più alti del sistema attraverso le loro business school, i patrimoni accumulati e il colore della pelle; quello inferiore è riservato, se va bene, alle carriere impiegatizie ed operaie, ai call center e ai pony express, ai commessi di KFC e di MacDonalds. A Londra come a Tunisi un sistema falsamente inclusivo paga per anni un’istruzione alle giovani generazioni, le fa crescere nel mito del proprio progresso personale e poi, al momento opportuno, li mettono in attesa, rimcitrullendoli davanti alla tv via cavo, o via satellite, alla playstation e ai cibi surgelati in stupidi sobborghi grigi.

Sono anni che si rileva che i centri città stanno invecchiando, perché la speculazione edilizia ha fatto crescere in maniera esorbitante gli affitti e i mutui, ha “rivalutato” a fini commerciali i centri e riservato ai dormitori di periferia le coppie giovani, gli immigrati e i pensionati poveri. Così le periferie si caricano di odio, di odio proprio verso quelle merci alle quali la bellezza dei centri città è stata consacrata.

Ti dicono: “Studia, aspetta”, poi ti dicono “accetta questo lavoretto, aspetta”, poi ti dicono “intanto vai in affitto, aspetta”, poi ti dicono “viaggia un po’, divertiti, non ti fare una famiglia, aspetta”. Ma quanto si può aspettare? Non è un caso che gli slogan, un po’ in tutto il mondo, parlino di “fretta”. Quanto dura, davvero, la vita di un uomo? A 23 anni se va bene sei quasi laureato, ma non basta. Ti serve un master e un altro paio di anni. Se ti va bene inizi a lavorare, ma ti devi sacrificare e così arrivi a 30 che non hai nulla in mano. A quell’età il tuo mutuo costa di più e i figli costano di più e la salute costa di più. E intanto hai aspettato… per cosa? cosa c’è in fondo alla coda di migliaia di giovani che “aspettano”? Di norma un lavoro precario pagato male, una casa di periferia un po’ messa male e di proprietà di un altro, un compagno o una compagna che non hanno più voglia di aspettare: in fondo alla coda c’è la nevrosi di una generazione.

E allora i londinesi non vogliono più aspettare, come tutti i giovani del mondo.

Bisogna pagare il debito?

4 agosto 2011 § Lascia un commento

Da qualche tempo nei circuiti alternativi della stampa internazionale si parla di un tema scottante, e come al solito se ne parla in un’ottica sconosciuta al ristretto panorama delle riflessioni italiane. Il tema, importantissimo, è: il debito pubblico. La domanda che si pone da più parti è la seguente: bisogna pagare il debito?

L’analisi condotta sulla storia del debito, sull’articolazione delle leggi internazionali in materia, sulle opportunità politiche connesse ai pagamenti del debito, sulle conseguenze che il pagamento comporta sulle politiche sociali porta a rispondere un No articolato a questa domanda. Risposta che qui nella penisola non si è mai sentita.

Quali sono i presupposti di questo NO e perché non dovremmo temerlo? Provo a riassumere nella speranza di riuscire a produrre un po’ di letteratura nei prossimi giorni:

  1. Perché dal punto di vista delle politiche del debito quest’ultimo è diventato effettivamente insostenibile solo da quando le istituzioni finanziarie internazionali (FMI, Banca Mondiale, Unione Europea, ecc.) si sono svincolate del tutto dalla politica; in quel momento il potere tecnico di queste istituzioni ha eliminato la capacità dello stato di gestire in maniera flessibile la politica monetaria. Prova ne sia che gli Stati Uniti, che questa politica la controllano per intero, possono indebitarsi per legge senza dover rendere conto a nessuno.
  2. Perché il debito è finito in tutto o in parte in mano a speculatori internazionali, soggetti assolutamente fuori controllo che nella maggior parte dei casi vogliono un ritorno immediato dell’investimento e che strozzano, di conseguenza, le politiche sociali. Tale ordine mentale ed economico è necessariamente estraneo alla lungimiranza necessaria di un governo politico.
  3. Perché, fino a qualche tempo fa, la politica era sempre più potente della speculazione: nell’era mercantile e per secoli, se uno Stato aveva un indebitamento eccessivo semplicemente cessava i pagamenti e, quando le cose buttavano male, eliminavano “fisicamente” i soggetti presso i quali il debito era stato contratto. Ci fu un momento in cui i Medici, i Fugger, i dogi veneziani semplicemente non furono più pagati, con buona pace della carta bollata (sarebbe stato complicato per Firenze invadere la Francia…).
  4. Dal punto 3 ne deriva un altro, fondamentale. Il debitore e il creditore sono strettamente legati e lo sono al crescere dell’indebitamento e del ruolo del debitore. Se l’Italia o la Spagna non resitituissero il debito andrebbero a gambe all’aria parecchie banche ed istituiti di credito perché i debiti di tali Stati sono enormi anche per una banca multinazionale.
  5. Perché, se le politiche restitittive necessarie al pagamento del debito stritolano lo stato sociale e costringono ad un impoverimento collettivo e, di conseguenza, al mancato rispetto del patto sociale stesso, scattano una serie di norme internazionali che, semplicemente, considerano il debito illegittimo. Illegittimo per legge. Sembrerà strano ma è così: secondo le Nazioni Unite se il pagamento del debito elimina i diritti umani sono i secondi a prevalere e non il primo.
  6. Perché le politiche di pagamento del debito creano un circolo vizioso recessivo che aumentano il debito stesso e riducono la possibilità di pagarlo. É quello che accade ad un’azienda che cade in mano agli strozzini. Di norma fallisce.
  7. Perché, e mi rifaccio al punto 6, se sei caduto in mano agli strozzini non metti le mani al portafogli, ma chiami la Polizia e fai arrestare lo strozzino. Semplice, mi sembra.

Ovviamente la questione non è così semplice e c’è debito e debito. Di norma il debito al piccolo risparmiatore va rimesso. Quello verso gli speculatori non va annullato, ma va semplicemente dilazionato e reso più sopportabile.

La conseguenza è che, eliminati gli interessi sul debito l’economia ne riceve un’immediata iniezione di liquidità che consente di far ripartire la macchina e… di pagare il debito dilazionato con più tranquillità. Alla fine della guerra Inglesi ed Americani erano fortemente indebitati, ma potendo gestire la svalutazione monetaria e con una crescita economica sostenuta, pagarono cifre risibili rispetto all’incidenza percentuale del debito di guerra contratto. Se ne deduce che già l’eliminazione dei vincoli imposti dal neoliberismo imperante sarebbero una panacea. Ma anche la semplice dilazione risolve parecchie questioni: Argentina e Bolivia, dopo il crack, decisero di dilazionare. Con la sola dilazione l’Argentina è cresciuta dell’8% annuo. E non c’è stato il temuto effetto caos che tutti paventano.

Non basta? Siamo davvero così pazzi da pagare sull’unghia?
… continua …

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