Se se ne va un Laureato

22 novembre 2011 § Lascia un commento

Un lunedì del mese scorso (il 20 ottobre 2011) S. è partito. S. è nato in Bangladesh da una famiglia sicuramente più agiata della media, il padre lavora in edilizia in uno dei paesi del Golfo Persico: è una di quelle braccia povere che costruiscono i mega grattacieli che, fino a qualche mese fa, davano lustro alla miriade di parassiti del petrolio.

S. è un ragazzo alto e scuro (un po’ più degli altri), simpatico, spigliato, occidentalizzato. Arrivato in Italia meno di 5 anni fa, era laureato in informatica al suo paese quando si è ritrovato, numero tra i numeri, nella miriade di immigrati che costituiscono l’ossatura della produzione del nostro Paese. Da laureato, e forte della posizione del padre, ha speso un po’ di tempo ad imparare l’italiano e ad ambientarsi in italia prima di iniziare a lavorare. Fino a quando il padre non lo ha messo alle strette e lo ha costretto a darsi da fare.

Credo abbia fatto di tutto e non posso dire molto sulle sue professioni. Di sicuro ha lavorato nei cantieri navali, a Genova, Ancona, Trieste, Barcellona, Amburgo: verniciature, rifiniture, legni e tappezzerie. Nei tempi morti ha affiancato un suo amico nella conduzione di un piccolo call center al nostro quartiere, tirandolo a lucido e tenendolo sempre in ordine.

Qualche settimana fa ci disse che stava per partire. Per Barcellona, cantieri navali. Ci ha spiegato che la cantieristica in Italia è morta e che si lavora solo all’estero. Mi disse anche che è un peccato, perché qui si sta bene.

Io l’ho conosciuto in palestra, facciamo insieme prepugilistica (o qualcosa di simile). S. è la nostra “tigre del Bengala“. Prima che partisse abbiamo organizzato una cena a casa per salutarlo e solo all’ultimo momento abbiamo scoperto una verità su questo laureato: è anche un imprenditore. Ha una piccola società di finiture per le barche. Quando c’è un grosso lavoro mette insieme la squadra di lavoratori specializzati e parte, ovunque ce ne sia bisogno. Stavolta è Barcellona, domani non si sa.

S. ama questo paese. Ovunque  il lavoro lo chiami torna sempre qui. S. ha aperto la sua società qui, in Italia, perché questo paese gli piace, gli piacciono le persone, il clima, il nostro modo di vivere e di convivere. Solo che l’Italia sta morendo anche per lui, per il suo mestiere e per la sua professionalità. L’Italia sta morendo anche per la sua voglia di fare. Ed è un peccato. Questo paese non è molto capace di attirare le persone per la propria cultura, di solito tira braccia, sudore, lavoro. S. è uno che ha sia la prima che i secondi, speriamo non decida di andare via.

Torna presto S.

Adesso tocca alla Francia?

21 novembre 2011 § Lascia un commento

Come diceva il mio amico Icaro la crisi non nasce solo e soltanto dall’inettitudine della nostra classe politica, ma deriva, forse quasi esclusivamente, da una mancanza di governo della moneta acuita drammaticamente dal ruolo delle destre nel panorama politico attuale.

Da anni ci ripetiamo che la sinistra, in Europa e nel mondo, non ha più tante ragioni da proporre ai cittadini. E forse questo fatto è ancor più assurdo se si pensa ai danni provocati dalle politiche neoliberiste messe in campo nel mondo in questi anni. Come ho avuto modo di scrivere, le risatine isteriche di Merkel e Sarkozy all’indirizzo di Berlusconi erano il simbolo più chiaro della paura che dopo l’Italia toccasse a loro e non solo perché le loro banche erano fortemente impregnate di titoli italiani. Se non si porrà mano ai meccanismi di governo della moneta i mercati si accaniranno indifferentemente su tutti gli stati europei, anche i più grandi. È solo questione di tempo: come succede ai predati nella savana, i primi a soccombere sono i cuccioli indifesi, ma una volta uccisi quelli, i leoni si concentrano sui vecchi.

Lo stanno già facendo con l’Italia, lo faranno anche con la Francia del ridanciano nanetto (strano che la statura corrisponda sempre più spesso ad inettitudine). Chi si salva? Nella savana si salvano gli animali che sanno cambiare rotta, che hanno fiato da vendere, energie da spendere e praterie da solcare. Forse è arrivato il momento di fare tutte queste cose insieme. Con la speranza di vedere meno idioti ridere e più cervelli lavorare.

E così Berlusconi se ne va…

9 novembre 2011 § Lascia un commento

O almeno così pare. E tutte le volte che lo fa, anche in passato è stato così, lo fa quando la macchina è ormai senza benzina, è passata in riserva, e il benzinaio e parecchio lontano. Così, chiunque lo segua dovrà scendere e spingere, facendosi carico sia del disonore che della fatica.

Nel frattempo Lui si sarà preparato un salvacondotto, un colpo di coda ben assestato, una via di uscita per salvare patrimonio di famiglia, influenza politica, potere ed incolumità dalla magistratura. No. Berlusconi non è il male assoluto. E’ solo la cartina di tornasole di un paese decisamente arrivato al capolinea, un paese nel quale, come nel medioevo, chi dissente è un traditore, chi contesta va direttamente al rogo senza processo e con una buona dose di tortura mediatica.

Adesso si apre la partita del “io sono sempre stato contro…”. Se e quando si farà da parte, come le lumache dopo una pioggerellina primaverile, usciranno allo scoperto quanti per anni lo hanno appoggiato e spalleggiato, usciranno e diranno che loro gliel’avevano detto, consigliato, scongiurato… che, no, nemmeno loro lo sopportavano più. E come accadde alla fine del Fascismo, ci ritroveremo le solite facce da stronzi sulle solite poltrone, e non cambierà mai nulla.

Adesso una parte del paese da addosso all’opposizione. Come se ci si potesse accanire contro un poveraccio in sedia a rotelle che ha giocato per anni contro Pelé. Si dice: “rifacciamo la legge elettorale”… sì, e poi anche quella sul conflitto di interessi, e qualche buona norma anti trust.

Forse riusciremo a trovare un paese normale sotto la marea di merda che ci hanno spalato sopra fino ad ora.

P.s.: scrivo questo post per scaramanzia… tanto non se ne va!!!

Banche europee e risatine di leader strabici…

25 ottobre 2011 § Lascia un commento

Domenica, il siparietto comico della Merkel e di Sarkozy è sembrato a molti il segno di un nervosismo per una sindrome da accerchiamento. Le due potenze, solide e ben strutturate, guidate da politiche virtuose, insignite della medaglia del pareggio di bilancio, sarebbero assediate da economie poco pulite, incapaci di far fronte ai propri impegni.

Poi, leggendo tra le righe, si scopre che quella risata era isterica, e derivava dal fatto che i leader delle due superpotenze non si sono accorti che dal 2008 le loro banche hanno giocato un po’ troppo con i debiti sovrani dei PIIGS e rischiano di andare a gambe all’aria insieme ai paesi che gli stessi leader si attardano ad aiutare.

A metà settembre Moody’s ha tagliato il rating dei giganti del credito francese (Crèdit Agricole, Société Générale) e si è rifiutata di rialzare il rating di BNP che era già stata declassata. Un po’ la stessa sorte che è toccata ad una ventina delle nostre banche dopo il declassamento dell’Italia. Qualche giorno fa le agenzie hanno minacciato di declassare direttamente la Francia.

Di fronte alla marea che monta i leader europei non si stanno ancora facendo le domande che contano? nemmeno di fronte al fatto che le forche caudine sono arrivate anche per loro:

  • ma non sarà che è l’intero sistema che non funziona più? 
  • non sarà che la crescita dell’Europa si è globalmente ingessata?
  • non sarà che forse era il caso di cambiare radicalmente rotta nel 2008, al posto di dare soldi a banche che hanno giocato sporco anche con il denaro pubblico?

A questo punto la domanda ce la facciamo noi:

  • visto che un leader è pagato per gestire, non è il caso di chiederne le dimissioni quando arriva troppo tardi di fronte a crisi annunciate?
  • perché quando si tratta degli onori le cariche politiche incassano senza batter ciglio e poi non restituiscono quando si scoprono incapaci, fallimentari e strabiche?

La domanda si fa sempre più stringente se si considera che nemmeno oggi si cambia rotta (completamente), nemmeno oggi si tenta di ridare un ruolo alla politica, di spuntare le unghia agli speculatori, di impedire lo sciacallaggio delle persone a favore dei mercati. Nemmeno oggi ci si accorge che abbiamo sbagliato i compagni di viaggio e dobbiamo cacciarli a pedate nel culo (vedi: neoliberisti, banchieri, finanzieri, et. co.). Nemmeno oggi si alza la voce e si dice con chiarezza: paghiamo il debito solo se detenuto dai nostri cittadini… gli speculatori si possono scordare soldi e interessi.

Anzi… si torna a parlare di ricapitalizzare le banche. In attesa che i cittadini si incazzino davvero.

Berlusconi, il conflitto di interessi e la crisi attuale

21 settembre 2011 § Lascia un commento

La storia è fatta di banalità che vanno ripetute, anche a costo di sentirsi le contumelie dei benpensanti: qualche anno fa il tema del conflitto di interessi era all’ordine del giorno, oggi anche la sinistra fa finta che non ci sia, perché non paga politicamente o perché si sente responsabile di non averlo risolto quando poteva.

Eppure dobbiamo tornarci. Il conflitto di interesse si porta dietro un’equazione drammatica:

Controllo dei media = Maggiori introiti =
Maggior peso Elettorale = Controllo del partito

Berlusconi ha sempre avuto tante, troppe leve per assoggettare le persone elette in parlamento. Ha troppi soldi, quindi paga, per sè e per gli altri le campagne elettorali. Ha il controllo dei media e quindi indirizza troppo facilmente l’opinione pubblica: le sue tv sono un’arma potentissima, riescono a ridurre in briciole tanto i suoi nemici quanto i suoi amici.

La macchina del fango è un esempio di questo: Fini esce dal partito, immediatamente dopo viene distrutto personalmente e politicamente. In tempi ordinari è successo anche di peggio: il centrosinistra è in vantaggio di 5 punti, alle elezioni Berlusconi li recupera praticamente tutti e costringe il Governo Prodi a vivacchiare. Per non parlare della discesa in campo.

Di fronte a questo strapotere come dovrebbero reagire gli uomini di Berlusconi: obbediscono! Nel 2001 B., in un discorso alla camera per una votazione di fiducia lo disse chiarmente: le elezioni le pagava lui, quindi non tollerava nessun dissenso, altrimenti tutti a casa. I berluscones sono figli di nessuno e la loro mediocrità è imbarazzante. Basta pensare a Frattini: un maestro di sci che non parla neppure inglese messo a fare il Ministro degli Esteri. Soggetti insignificanti che vivono di luce riflessa. Personaggi che mai e poi mai darebbero torto al capo: provate a pensare quanti uomini, coordinatori, portavoce, capigruppo, sono attualmente scomparsi, sostituiti da vallette e comprimari, servitori supini ed ex-prostitute!!! Troppi! Evidentemente Berlusconi ha imparato dalla storia: mai accumulare troppo potere negli altri, altrimenti va a finire come con il fascismo!

Una volta che il parlamento è pieno di servitori supini, non possiamo certo aspettarci che qualcuno metta fuori gioco Berlusconi, che lo sfiduci, lo mandi a casa. Non possiamo nemmeno aspettarci che lo prenda da parte e gli spieghi che ha suprato il Paese. Peggio: un parlamento servile non pensa ai mali del Paese, pensa agli interessi del Capo, poco importa se poi non ce più nulla da salvare, o è troppo tardi. Ieri Gian Antonio Stella ricordava che nel 2005 (non 20 anni fa) Berlusconi invitava ad investire in Bielorussia e non in Cina… Quale dei grandi maggiordomi del PDL ha gli strumenti culturali per contraddire una simile boiata?

Insomma: in un Parlamento di nominati, di buoi acquistati al mercato e portati a tirare l’aratro del Boss, non c’è spazio per l’Italia… ed è un risultato nefasto del conflitto di interessi.

E intanto il Paese sprofonda… e non di vede luce in fondo al tunnel.

Crisi, debito e speculazione: una sintesi

10 agosto 2011 § Lascia un commento

Per riassumere i concetti espressi nei miei due precedenti post (O la borsa o la vita e Bisogna pagare il debito?) ho tentato una sintesi grafica della spirale della follia innestata, indifferentemente, dalla speculazione, dall’attuale meccanismo del debito e dalla messa in campo di politiche neoliberali.

Interazione tra debito, speculazione, deregulation e applicazione delle politiche neoliberali.

L’Europa brucia… e noi da che parte stiamo?

9 agosto 2011 § Lascia un commento

La rivolta di Londra è già stata etichettata come opera di una teppaglia impazzita. Probabilmente, lì come in Francia, quella situazione produrrà un nuovo Sarkozy. La criminalizzazione paga, tanto e subito: chiusi nelle nostre vecchie corazze borghesi temiamo lo scatto d’ira del diverso che, in quanto tale, deve starsene al suo posto e attendere. Non si capisce bene cosà però.

La rivolta di Londra assomiglia molto a quella di Tunisia ed Egitto. Come nei paesi del nord Africa, a rivoltarsi sono giovani generazioni senza speranza, macinate continuamente in un sistema a doppio flusso: quello superiore destinato ai bianchi, che possono arrivare ai livelli più alti del sistema attraverso le loro business school, i patrimoni accumulati e il colore della pelle; quello inferiore è riservato, se va bene, alle carriere impiegatizie ed operaie, ai call center e ai pony express, ai commessi di KFC e di MacDonalds. A Londra come a Tunisi un sistema falsamente inclusivo paga per anni un’istruzione alle giovani generazioni, le fa crescere nel mito del proprio progresso personale e poi, al momento opportuno, li mettono in attesa, rimcitrullendoli davanti alla tv via cavo, o via satellite, alla playstation e ai cibi surgelati in stupidi sobborghi grigi.

Sono anni che si rileva che i centri città stanno invecchiando, perché la speculazione edilizia ha fatto crescere in maniera esorbitante gli affitti e i mutui, ha “rivalutato” a fini commerciali i centri e riservato ai dormitori di periferia le coppie giovani, gli immigrati e i pensionati poveri. Così le periferie si caricano di odio, di odio proprio verso quelle merci alle quali la bellezza dei centri città è stata consacrata.

Ti dicono: “Studia, aspetta”, poi ti dicono “accetta questo lavoretto, aspetta”, poi ti dicono “intanto vai in affitto, aspetta”, poi ti dicono “viaggia un po’, divertiti, non ti fare una famiglia, aspetta”. Ma quanto si può aspettare? Non è un caso che gli slogan, un po’ in tutto il mondo, parlino di “fretta”. Quanto dura, davvero, la vita di un uomo? A 23 anni se va bene sei quasi laureato, ma non basta. Ti serve un master e un altro paio di anni. Se ti va bene inizi a lavorare, ma ti devi sacrificare e così arrivi a 30 che non hai nulla in mano. A quell’età il tuo mutuo costa di più e i figli costano di più e la salute costa di più. E intanto hai aspettato… per cosa? cosa c’è in fondo alla coda di migliaia di giovani che “aspettano”? Di norma un lavoro precario pagato male, una casa di periferia un po’ messa male e di proprietà di un altro, un compagno o una compagna che non hanno più voglia di aspettare: in fondo alla coda c’è la nevrosi di una generazione.

E allora i londinesi non vogliono più aspettare, come tutti i giovani del mondo.

O la borsa o la vita

9 agosto 2011 § 1 Commento

[Libera traduzione dell’articolo di Damien Millet ed Eric Toussaint apparso su Le Monde Diplomatique di Luglio 2011]

Un tempo c’era il “primo mondo”, il “Nord” considerato come la parte prospera del pianeta; il “secondo mondo”, quello dei paesi sovietici; infine il “terzo”, che raggruppava i paesi poveri del “sud”, sottomessi, dagli anni ’80 in poi, ai diktat del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Il secondo si è dissolto agli inizi degli anni ’90 con la fine dell’URSS. Con la crisi del 2009 il primo mondo si è rovesciato. E così nessuna divisione geografica sembra davvero pertinente. Non si distinguono che due categorie di popolazione: il pugno di quanti approfittano del capitalismo contemporaneo e la maggioranza, che lo subiscono. Di norma attraverso il meccanismo del debito.

Nel corso degli ultimi 30 anni gli anelli deboli dell’economia mondiale si trovavano in America Latina, in Asia o noi paesi in transizione post sovietica. Dal 2008 anche l’Unione Europea suscita qualche preoccupazione. Mente il debito estero totale dei paesi dell’America Latina raggiunge in media il 23% del PIL (fine 2009), esso si attesta al 155% in Germania, al 187% in Spagna, al 191% in Grecia, al 205% in Francia, al 245% in Portogallo e al 1.137% in Irlanda. Cose mai viste!

Contrariamente agli Stati Uniti che possono abbeverarsi di liquidità attraverso la Federal Reserve, di solito attraverso la scappatoia della creazione di moneta, i paesi dell’Eurozona non hanno questo strumento: lo statuto della BCE impedisce il finanziamento diretto degli Stati. Così. Mentre tra il 2007 e il 2009 si mobilitano per salvare le banche – per un montante totale di 1.200 miliardi di euro in impegni diretti e garanzie accessorie – il loro finanziamento dipende esclusivamente dagli investitori istituzionali: essenzialmente fondi pensione, compagnie di assicurazione e banche private.

Una delle conseguenze inattese della crisi è stata di consentire ai banchieri dell’Europa occidentale, di norma francesi e tedeschi, di utilizzare i fondi che gli erano stati prestati dalla BCE e dalla Federal Reserve per aumentare, tra il 2007 e il 2009, la loro esposizione in parecchi paesi (Grecia, Irlanda, Spagna e Portogallo) realizzando enormi profitti. Tra giugno 2007 (inizio della crisi dei subprime) e settembre 2008 (fallimento di Lehman Brothers), i prestiti delle banche private europee occidentali alla Grecia sono saliti del 33% passando da 120 a 160 miliardi di Euro.

Nella primavera 2010, mentre le turbolenze spazzano la zona Euro, la BCE presta al tasso vantaggioso dell’1% alle banche private. Queste ultime, per tutta risposta, esigono da Paesi come la Grecia una remunerazione ben superiore: dal 4% al 5% per un prestito a 3 mesi, circa il 12% per un prestito a 10 anni. La giustificazione di queste cifre? Il rischio “default” che pesa sulla testa di questi paesi. Una minaccia così incombente che i tassi aumentano ulteriormente: a maggio 2011 il tasso a 10 anni passa al 16,5%. Parallelamente, con l’intento di “rendere fluido” il mercato dei debiti sovrani, la BCE garantisce ormai i crediti detenuti dalle banche private ricomperando i Titoli di Stato… che si è impedita di acquistare direttamente.

È proprio necessario tenere in piedi una tale impalcatura? Innanzitutto, se le banche esigono una remunerazione considerando il “rischio default” non sarebbe coerente affrontare una sospensione dei pagamenti, o, in alternativa, denunciare l’illegittimità di tali comportamenti? Generalmente, invocare uno scenario simile vuol dire scatenare l’evocazione di scenari di caos: uno “scenario dell’orrore”, come l’ha definito M. Christian Noyer, governatore della Banca di Francia[1]. Ma dal punto di vista delle popolazione, non sarebbe più corretto definire “scenario dell’orrore” la messa in atto di quelle politiche di austerità necessarie al pagamento del debito stesso?

Un analista poco sospetto di avere fantasie terzomondiste, Henry Kissinger, ex segretario di Stato americano, ha affermato nel 1989, parlando dei piani di austerità imposti ai paesi sudamericani: «nessun governo democratico può sopportare l’austerità prolungata e la compressione del budget per i servizi sociali attualmente richiesta dalle istituzioni internazionali»[2]. Questo ragionamento è rafforzato dal fatto che i vecchi debiti, essendo in parte coperti da nuove emissioni, non smettono mai di crescere: nel 2009 i Governi dei paesi in via di sviluppo avevano rimborsato l’equivalente di 98 volte il debito contratto nel 1970. Nel frattempo il loro debito si era moltiplicato di 30 volte.

È su questa via che i governi europei indirizzano la loro popolazione rifiutandosi di attivare le leve politiche che permetterebbero di cambiare la traiettoria. Un’altra soluzione si apre per il nord e per il sud. Nel corso degli ultimi anni alcuni paesi hanno scelto di sospendere i pagamenti o di annullare una parte del proprio debito: l’Argentina nel 2001 (grazie ad una sospensione dei rimborsi per 3 anni ha imposto ai propri creditori privati una riduzione di più della metà del debito) e più recentemente l’Ecuador. E tutto senza che si scatenasse il caos: «Tanto la teoria quanto la pratica suggeriscono che la minaccia di una chiusura dei rubinetti è stata probabilmente esagerata»[3], ne ha concluso Joseph Stiglitz, economista a capo della Banca Mondiale tra il 1997 e il 2000. Dal 2003 al 2010 l’Argentina ha registrato un tasso medio di crescita annuo superiore all’8%. La sospensione dei pagamenti non determina necessariamente il cataclisma preconizzato dalle Cassandre del debito. Può essere che un tale atteggiamento sia addirittura legittimo??

Per essere legato ad un prestito c’è bisogno che uno Stato presti il suo consenso liberamente. Da questo consenso nasce l’obbligo al rimborso del debito stesso. Tuttavia questo principio non è assoluto. È assoggettato ai dettami del diritto internazionale. L’articolo 103 della Carta delle Nazioni Unite proclama: «In caso di contrasto tra gli obblighi contratti dai Membri delle Nazioni Unite con il presente Statuto e gli obblighi da essi assunti in base a qualsiasi altro accordo internazionale prevarranno gli obblighi derivanti dal presente Statuto. »[4] Tra tali obblighi, all’articolo 55 della carta, si rileva il presente «[favorire]un più elevato tenore di vita, il pieno impiego della mano d’opera, e condizioni di progresso e di sviluppo economico e sociale;».

I “piani di aiuto” concessi dalla Commissione Europea, la BCE e l’FMI ai paesi in difficoltà (volti a consentirgli di rimborsare i creditori) vanno in questa direzione? Nel 2009 la Lettonia ha visto imporsi una riduzione delle spese pubbliche equivalente al 15% del PIL, una diminuzione dei salari dei funzionari pubblici del 20%, una riduzione del montante delle pensioni del 10% (poi giudicata anticostituzionale), la chiusura di scuole ed ospedali. Nel 1980 la International Law Commission dell’ONU proclamava «Una Nazione non potrebbe, per esempio, chiudere le scuole, le sue università e i suoi tribunali, eliminare la polizia e non interessarsi ai servizi pubblici fino al punto di esporre la popolazione al disordine e all’anarchia, semplicemente al fine di disporre dei fondi per far fronte all’obbligazioni contratte con i creditori internazionali»[5].

La Convenzione di Vienna del 1986, che completa quella del 1969 sul diritto dei Trattati[6] identifica i differenti vizi di consenso che possono portare alla nullità di un contratto di prestito. All’articolo 49 che tratta del “dolo” si legge: «Se uno Stato è stato indotto a concludere un trattato dal comportamento fraudolento di un altro Stato che ha partecipato al negoziato, può invocare il dolo come vizio del suo consenso a vincolarsi al trattato.»[7]. Non potremmo considerare doloso e fraudolento il comportamento dell’FMI considerando la distanza abissale tra i suoi dettami e la realtà dei fatti? L’articolo 1 comma 2 dello Statuto del Fondo gli impone quale obiettivo di «facilitare l’espansione e la crescita equilibrata del commercio internazionale e contribuire così ad istaurare e mantenere elevati livelli di occupazione e di reddito reale e a sviluppare le risorse produttive di tutti gli Stati membri, obiettivi principali della politica economica». Aumento della disoccupazione, crollo dei redditi, privatizzazioni: le misure imposte da tale istituzione portano troppo spesso a tutt’altro risultato. Possiamo infine considerare “libero consenso di uno Stato” quello ottenuto sotto il tiro incrociato della Commissione Europea e dell’FMI?

È lunga la vista di argomenti suscettibili di giustificare una sospensione dei pagamenti e di denunciare la pura e semplice illegittimità di tali debiti. Dopo qualche mese, questa opzione si impone per la sua evidenza. Anche tra gli speculatori: alla fine di giugno, secondo Morgan Stanley e JP Morgan, i mercati stimavano un rischio di default della Grecia all’86% contro il 50% in aprile.

Il fenomeno non è sfuggito ai banchieri. Spaventati dall’idea di vedersi imposto uno spostamento dei pagamenti o una riduzione del valore dei crediti (nel quadro di una rinegoziazione difesa da Berlino) nel 2010 le banche Francesi hanno diminuito la loro esposizione sul debito sovrano geco passando da 19 a 10 miliardi di Euro. Le banche tedesche hanno fatto la stessa cosa: la loro esposizione è passata da 16 a 10 miliardi di Euro. Surrettiziamente, istituzioni pubbliche come l’FMI o la BCE e i governi europei si sostituiscono agli investitori privati. La BCE detiene 66 miliardi di euro di titoli greci (il 20% del totale del debito); FMI e Governi europei sono arrivati attualmente a 33,3 miliardi. Stesso processo si sta verificando in Irlanda e Portogallo. «Vuol dire che in caso di ristrutturazione saranno i contribuenti – al posto degli investitori privai – che pagheranno il conto» ha chiosato il New York Times[8].


[1] Citato da Ingrid Melander e Paul Taylor, «Mises en garde sur un possible reprofilage de la dette greque», Reuters, 24 maggio 2011; http://fr.reuters.com/article/businessNews/idFRPAE74N0BG20110524 .

[2] Citato da Miguel Angel Espeche Gil, «La doctrina Espeche. Illicitud del alza unilateral de lor sintereses de la deuda externa», Instituto hispano-luso-americano de derecho internacional, 15° congrsso, 23-29 aprile 1989, Santo Domingo (Repubblica Dominicana); http://www.derecho.uba.ar/institucional/proyectos/dext_espeche.pdf

[5] Annuario della International Law Commission (http://www.un.org/law/ilc/index.htm), 1980, p. 24 «It will then have to rank its obligations and make provisions for those which are of a more vital interest first. A State cannot, for example, be expected to close its schools and universities and its courts, to disband its police force and to neglect its public services to such an extent as to expose its community to chaos and anarchy merely to provide the money wherewith to meet its moneylenders, foreign* or national. There are limits to what may be reasonably expected of a State*… » http://untreaty.un.org/ilc/publications/yearbooks/Ybkvolumes(e)/ILC_1980_v2_p1_e.pdf

[6] La convenzione del 1969 è entrata in vigore nel 1980. Quella del 1986 è in corso di ratifica.

[8] Landon Thomas Jr. «In Greece, some see a new Lehman», The New York Times, 12 Giugno 2011; http://www.nytimes.com/2011/06/13/business/global/13euro.html?pagewanted=all

Di seguito si riportano i documenti citati in pdf.:

O a tutti o a nessuno…

8 agosto 2011 § 1 Commento

La Nazione si raccoglie oggi in religiosa attesa della riunione del Consiglio dei Ministri nella quale Tremonti chiarirà chi dovrà pagare la manovra che ci è stata imposta per evitare la catasfrofe finanziaria. La suspence sta tutta nel capire quali e quanti sacrifici ci si richiederanno, dove, per “ci” intendo i soliti noti, ovvero i cittadini affetti da un’inguaribile sindrome dell’ortolano.

Stamattina è iniziata la battaglia ideologica e non poteva essere altrimenti: Sacconi ha già anticipato che quale che sia la riforma del mercato del lavoro che sarà messa in atto, essa ricalcherà le indicazioni del prof. Marco Biagi. Ovviamente, il riferimento al giuslavorista ucciso dalle BR equivale a dire: «state attenti!!! se vi opponete siete come le BR». Poco importa che Sacconi non abbia letto mezza riga di quello che scriveva Biagi.

Nel frattempo il Corriere (salvo pubblicare il solito ottimo articolo di Rizzo e Stella) ha avviato il tito al bersaglio sulle pensioni. Il tono è simile a quello del chirurgo che sta per amputarti una gamba: «Lo so! fa male ma non si può fare altrimenti».

Già nelle scorse settimane, infine, Tremonti & Co. avevano annunciato l’eliminazione di qualsivoglia agevolazione fiscale. Anche quelle poche che consentivano di risparmiare qualche lira sulla salute o sull’educazione dei figli. Per non parlare dei minimi sgravi che si davano alle imprese per investire un po’.

Insomma. Facciamo il punto: a chi tocca? Tocca a chi lavora. E basta. Non una parola sui privilegi. E non parlo della Casta perché siam stanchi e perché ne viene giusto qualche spicciolo. Faccio un elenco (incomleto) delle categorie che potrebbero pagare adesso per quello che non hanno dato mai:

  • Gli ordini professionali iperprotetti (i notai, gli avvocati, gli architetti, i dentisti, ecc.), per i quali potrebbe essere anche l’ora di liberalizzare del tutto la professione per dare accesso ai ragazzi con una laurea in tasca;
  • Gli sciacalli palazzinari nelle nostre città; quelli che hanno come professione il giro delle case alla fine del mese per riscuotere gli affitti;
  • Le grandi fortune finanziarie, quelle che non producono un posto di lavoro che è uno e che si alimentano standosene comodamente seduti a casa a sniffare cocaina;
  • La chiesa Cattolica, alla quale paghiamo praticamente tutto, dal restauro delle chiese, allo stipendio dei parroci, alle ore di religione; la Chiesa Cattolica che non paga l’ICI nemmeno sugli alberghi;
  • Gli evasori che hanno riportato i soldi in italia con il regalo di Tremonti: sappiamo chi sono, sappiamo dove sono, dobbiamo solo espropriarne le fortune che nulla hanno dato alle casse dello Stato;
  • Gli evasori tout court, che qualunque cittadino saprebbe stanare in cinque minuti.

Ovviamente l’elenco è incompleto. Si potrebbe completarlo e mandarlo a Tremonti prima del pomeriggio. Chissà che non ci faccia una pensata.

E ovviamente, parallelamente, si potrebbero iniziare ad innalzare le barricate. Perché in Europa siamo gli unici ad essere in ferie da una vita…

Dove sono?

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