Adesso tocca alla Francia?

21 novembre 2011 § Lascia un commento

Come diceva il mio amico Icaro la crisi non nasce solo e soltanto dall’inettitudine della nostra classe politica, ma deriva, forse quasi esclusivamente, da una mancanza di governo della moneta acuita drammaticamente dal ruolo delle destre nel panorama politico attuale.

Da anni ci ripetiamo che la sinistra, in Europa e nel mondo, non ha più tante ragioni da proporre ai cittadini. E forse questo fatto è ancor più assurdo se si pensa ai danni provocati dalle politiche neoliberiste messe in campo nel mondo in questi anni. Come ho avuto modo di scrivere, le risatine isteriche di Merkel e Sarkozy all’indirizzo di Berlusconi erano il simbolo più chiaro della paura che dopo l’Italia toccasse a loro e non solo perché le loro banche erano fortemente impregnate di titoli italiani. Se non si porrà mano ai meccanismi di governo della moneta i mercati si accaniranno indifferentemente su tutti gli stati europei, anche i più grandi. È solo questione di tempo: come succede ai predati nella savana, i primi a soccombere sono i cuccioli indifesi, ma una volta uccisi quelli, i leoni si concentrano sui vecchi.

Lo stanno già facendo con l’Italia, lo faranno anche con la Francia del ridanciano nanetto (strano che la statura corrisponda sempre più spesso ad inettitudine). Chi si salva? Nella savana si salvano gli animali che sanno cambiare rotta, che hanno fiato da vendere, energie da spendere e praterie da solcare. Forse è arrivato il momento di fare tutte queste cose insieme. Con la speranza di vedere meno idioti ridere e più cervelli lavorare.

La trappola del governo

3 novembre 2011 § Lascia un commento

Ieri sera (3 nov. 2011) il governo si è riunito per varare le misure richieste dall’Europa. E come al solito ha deciso di non decidere. Solite parole al vento, promesse annunciate, dietro front sulle misure più impopolari. E, soprattutto, un tatticismo che rivela, per l’ennesima volta, la mancanza di senso dello Stato della maggioranza.

Quante volte il governo è andato avanti a colpi di decreti? E quante volte ha chiesto la fiducia? Ogni volta che il governo ha voluto tirare dritto ha scelto l’atto di imperio (sulle intercettazioni, sulle leggi ad personam, sulla giustizia, su tutti i provvedimenti di interesse del premier). Stavolta no!

Stavolta si ricorre ad un maxiemendamento alla legge finanziaria (Legge di Stabilità… quale!?!). E così si prepara il trappolone per l’opposizione:

  • se l’opposizione contribuisce con responsabilità e la vota, al momento delle elezioni Berlusconi potrà dire che non è il solo responsabile delle politiche di lacrime e sangue
  • se l’opposizione non la vota Berlusconi potrà affermare che non è lui che si è attardato, o la sua maggioranza, ma sono stati gli altri a mettergli i bastoni tra le ruote

Inoltre, impantanando un provvedimento del genere in Parlamento, potrà sempre dire che “no… in Italia il Governo non conta niente, sono le lungaggini del Parlamento a bloccare il paese e a metterlo in scacco”.

Come al solito la miope prospettiva elettorale ha prevalso sulla necessità di assumersi delle responsabilità, di governare. Berlusconi non può permettersi di pedere, perché se succedesse una cosa del genere dovrebbe rispondere di fronte alla legge come normale cittadino, e i suoi problemi personale sono di gran lunga più importanti della salvezza della nazione.

Una volta di più, abbiamo la dimostrazione del perché quest’uomo ha scelto di entrare in Politica. Che tristezza!

Banche europee e risatine di leader strabici…

25 ottobre 2011 § Lascia un commento

Domenica, il siparietto comico della Merkel e di Sarkozy è sembrato a molti il segno di un nervosismo per una sindrome da accerchiamento. Le due potenze, solide e ben strutturate, guidate da politiche virtuose, insignite della medaglia del pareggio di bilancio, sarebbero assediate da economie poco pulite, incapaci di far fronte ai propri impegni.

Poi, leggendo tra le righe, si scopre che quella risata era isterica, e derivava dal fatto che i leader delle due superpotenze non si sono accorti che dal 2008 le loro banche hanno giocato un po’ troppo con i debiti sovrani dei PIIGS e rischiano di andare a gambe all’aria insieme ai paesi che gli stessi leader si attardano ad aiutare.

A metà settembre Moody’s ha tagliato il rating dei giganti del credito francese (Crèdit Agricole, Société Générale) e si è rifiutata di rialzare il rating di BNP che era già stata declassata. Un po’ la stessa sorte che è toccata ad una ventina delle nostre banche dopo il declassamento dell’Italia. Qualche giorno fa le agenzie hanno minacciato di declassare direttamente la Francia.

Di fronte alla marea che monta i leader europei non si stanno ancora facendo le domande che contano? nemmeno di fronte al fatto che le forche caudine sono arrivate anche per loro:

  • ma non sarà che è l’intero sistema che non funziona più? 
  • non sarà che la crescita dell’Europa si è globalmente ingessata?
  • non sarà che forse era il caso di cambiare radicalmente rotta nel 2008, al posto di dare soldi a banche che hanno giocato sporco anche con il denaro pubblico?

A questo punto la domanda ce la facciamo noi:

  • visto che un leader è pagato per gestire, non è il caso di chiederne le dimissioni quando arriva troppo tardi di fronte a crisi annunciate?
  • perché quando si tratta degli onori le cariche politiche incassano senza batter ciglio e poi non restituiscono quando si scoprono incapaci, fallimentari e strabiche?

La domanda si fa sempre più stringente se si considera che nemmeno oggi si cambia rotta (completamente), nemmeno oggi si tenta di ridare un ruolo alla politica, di spuntare le unghia agli speculatori, di impedire lo sciacallaggio delle persone a favore dei mercati. Nemmeno oggi ci si accorge che abbiamo sbagliato i compagni di viaggio e dobbiamo cacciarli a pedate nel culo (vedi: neoliberisti, banchieri, finanzieri, et. co.). Nemmeno oggi si alza la voce e si dice con chiarezza: paghiamo il debito solo se detenuto dai nostri cittadini… gli speculatori si possono scordare soldi e interessi.

Anzi… si torna a parlare di ricapitalizzare le banche. In attesa che i cittadini si incazzino davvero.

L’Europa bicefala e i conti che non tornano

24 ottobre 2011 § 2 commenti

Ieri Sarkozy e la Merkel ridacchiavano del nostro paese. Dal secondo dopoguerra la Francia e Germania sono considerate le due facce buone del vecchio continente, si configurano come le nazioni che determinano, nel bene e nel male, la direzione che prenderà la politica comune. Solo la protervia di De Gaulle era riuscita a spezzare questo asse.

Oggi questo asse è cementificato dalla necessità: le banche tedesche e francesi sono piene di titoli tossici dei paesi PIIGS (Portogallo, Italia, Irlanda, Grecia e Spagna) e i rispettivi premier non possono fare altro che cercare un modo per evitare il proprio (e, di conseguenza, l’altrui) tracollo finanziario.

Da nessuno dei due, però, e arrivata una minima ammissione di colpa in merito all’azione espansionistica indiscriminata dei propri istituti di credito. E neppure si è mai sentito un’accenno alla necessità di contrarre le politiche sociali al fine di dare basi più solide al proprio sistema economico. Insomma: si chiedono agli altri sacrifici che non si intendono imporre al proprio paese. E nel frattempo ci si allena alla politica dello scherno, che al di là dell’opportunità personale, rischia di essere deleteria proprio dal punto di vista della credibilità delle due potenze.

L’Europa era nata da un atto di umiltà dopo una guerra sanguinosa. Oggi rischia di essere uccisa da atti idioti di superiorità che non portano da nessuna parte, perché nella storia dell’Unione Europea ogni passo avanti collettivo è arrivato in corrispondenza con un passo indietro delle singole Nazioni, perché ogni avanzamento ha visto coinvolti, ad un livello di parità politica, tutti gli attori coinvolti.

Imprenditori veri a focus economia

20 settembre 2011 § Lascia un commento

Quando si ha la sfortuna di andare al lavoro in macchina si riesce ad ascoltare un po’ di radio in più. Se si è fortunati questa radio è di qualità.

Ieri pomeriggio a Focus Economia (Radio 24) c’era Oscar Farinetti, imprenditore emiliano fondatore di Eataly, catena internazionale con punti vendita in USA e Giappone di prodotti del made in italy di eccellenza.

Da un po’ di tempo Focus Economia (in generale un programma ottimo) dedica spazio agli imprenditori veri, quelli che investono sulle cose materiali, sulla produzione, il lavoro, i beni e i servizi, e non sulle scatole vuote della finanza.

Vi invito ad ascoltare con attenzione cosa dice Farinetti della classe politica italiana (dal minuto 49,50). È drammaticamente istruttivo (e decisamente cattivo).

» Ascolta la puntata

Quanto ci è costato il delitto di Avetrana

15 settembre 2011 § Lascia un commento

Il 26 agosto 2010 moriva Sara Scazzi. Il delitto di Avetrana ci consente di quantificare quanto ci costa interessarci di marginali, per quanto drammatici, fatti di cronaca, al posto di approfondire seriamente le tematiche economiche e affrontare, per tempo, i problemi del nostro Paese.

Ovviamente si tratta di un esercizio di stile. Però i dati parlano chiaro:

  • A Luglio 2010 il debito pubblico era a 1.838 miliardi di Euro (e cresceva, già al tempo, del 4,7% rispetto al luglio precedente)
  • A Luglio 2011 il debito pubblico è arrivato a 1.911 miliardi (ancora un 4% in più rispetto all’anno precedente)

Cosa sarebbe successo se, al posto di parlare di Zio Michele, avessimo acceso i riflettori su una crisi che era già in atto???

    • A Luglio 2011 il tasso di disoccupazione giovanile è salito al 27,6% (+0,8% rispetto all’anno prima)
    • La variazione è drammatica se confrontata al 2007: +7,9%

Che cosa sarebbe successo se i giornalisti, al posto di accettare di trasformarsi in mezzi di distrazione di massa, avessero messo alle strette un Governo che, fino a prima dell’estate, diceva che la crisi “non esisteva”? Quale sarebbe stato il peso dell’Opinione Pubblica se fosse stata correttamente informata??? Quanto pesa il potere del monopolista televisivo su questa distorsione della realtà?

Scriveva Repubblica il 25 novembre 2010, con toni

che sembrano neutri, ma che sappiamo drammatici: «Resta altissima la copertura mediatica sull’ inchiesta in corso sul delitto di Sarah Scazzi. Anche ieri numerose trasmissioni si sono occupate del delitto della ragazzina di Avetrana con collegamenti in diretta da Taranto e dibattiti in studio, con esperti e giornalisti. Ieri sera è tornato l’ appuntamento con Matrix, condotto da Alessio Vinci su Canale 5. Ventiquattro ore prima, invece, sul caso Scazzi si era registrata una nuova puntata di Porta a Porta di Bruno Vespa. Affollate anche le finestre dedicate all’ informazione nei programmi del pomeriggio targati Rai e Mediaset. Ieri nuovi collegamenti da Taranto de “la vita in diretta” e di “Pomeriggio sul Due”. Mentre dall’ ammiraglia Mediaset si replicava dagli studi di ” Pomeriggio cinque”. Da settimane sul caso Scazzi sono puntate anche le telecamere dei contenitori della domenica pomeriggio. La straordinaria attenzione dei media ha fatto lievitare l’ interesse degli italiani per il brutale delitto avvenuto nella cittadina del Salento.»

La situazione era così assurda che il Comitato per l’applicazione del codice di autoregolamentazione in materia di rappresentazione di vicende giudiziarie nelle trasmissioni radiotelevisive (AG.COM), il 9 dicembre 2010 si rivolgeva così alla Federazione Nazionale della Stampa:  «il Comitato formula l’auspicio che l’informazione in materia di vicende giudiziarie si attenga ai principi deontologici di novità, essenzialità e correttezza che caratterizzano la professione giornalistica, evitando, in assenza di aggiornamenti sostanziali delle  notizie, di alimentare gratuitamente l’interesse e l’ansia del pubblico attraverso continui annunci ad effetto di nuovi scoop, talvolta non esistenti nella realtà.»

Eppure, non ostante la raccomandazione, tra ottobre 2010 e febbraio 2011 erano stati messi in onda 867 servizi sul delitto di Avetrana (in media, quasi 6 servizi al giorno in cinque mesi).

E non era la prima volta:

      • omicidio Kercher (nov. 2007): 941 servizi
      • caso Garlasco (ago. 2007): 759 servizi
      • rapimento e uccisione del piccolo Tommaso Onofri 531 servizi
      • caso Cogne(gen. 2002): 508 servizi;
      •  l’omicidio di Erba: 499  servizi.

Per la prima volta la crisi ci consente di quantificare quanto costa la mancanza di libertà di informazione e il controllo delle risorse Televisive: in un anno ci è costato 73 miliardi di Euro. Dovremmo chiedere a Minzolini se ce ne rimborsa una parte.

L’ennesima classifica delle Università

6 settembre 2011 § Lascia un commento

È uscita l’ennesima classifica delle Università del mondo. E come al solito s’è scatenata la ridda di commenti contro il nostro sistema universitario.

Mi limito a fare alcune osservazioni.

Le classifiche delle istituzioni universitarie del mondo sono tantissime, tutte accomunate da uno strapotere degli istituti anglosassoni:

  1. Top University Ranking (uscito oggi) di QS
  2. Academic Ranking of World Universities (ARWU) pubblicato dalla Shanghai Jiao Tong University
  3. Times Higher Education World University Rankings  redatto dall’omonima rivista britannia
  4. High Impact Universities pubblicato su iniziativa dei ricercatori australiani

E questo senza contare la miriade di altri studi che analizzano fattori come l’accesso alle professioni, l’impatto accademico, ecc.

Pur volendosi fermare alla classifica QS, pare strano notare che il peso delle Università non sia proporzionale all’importanza economica delle Nazioni che ospitano tali istituti. Tolta l’Italia, la stessa Germania ha il primo istituto oltre il cinquantesimo posto, e lo stesso vale per le altre classifiche. Il fatto è strano perché, almeno per quel che riguarda il nord Europa, la spesa universitaria è proporzionale al PIL: la Gran Bretagnia, che occupa assieme agli Stati Uniti i posti migliori, ha un peso sproporzionatamente maggiore rispetto alla Francia, che pure ha un PIL maggiore.

Tutti sanno che l’impostazioe universitaria del vecchio continente è molto diversa da quella dei paesi anglosassoni: maggiore attenzione all’impianto teorico, meno ricerca applicata, più ricerca pura, maggiore attenzione all’insegnamento e meno alla pratica. Vale per la Francia, per la Germania e per l’Italia. Non vale per l’Inghilterra e gli Stati Uniti. Le classifiche sono concentrate sul secondo modello… e squalificano il primo.

Anche considerando il peso delle pubblicazioni, tenendo presente che la maggior parte delle riviste è in lingua inglese, pare evidente una sproporzione di forze verso i paesi che tale lingua c’è l’hanno come madre, e non come imposizione.

Insomma. A tirar le somme, pare che le classifiche tengano conto più dell’impostazione ideologica del liberismo angolosassone che dell’effettiva bontà (qualità) degli insegniamenti (tolte, si capisce, le top). Pare che le Università al top siano quelle che, più di altre, forniscono al sistema economico mondiale i tecnici migliori e ideologicamente più vicini al sistema dominante. Sintetizzando, pare che le Università siano migliori quanto più pronte a sfornare su ordinazione i mattoni umani necessari a perpetrare il potere corrente.

Crisi, debito e speculazione: una sintesi

10 agosto 2011 § Lascia un commento

Per riassumere i concetti espressi nei miei due precedenti post (O la borsa o la vita e Bisogna pagare il debito?) ho tentato una sintesi grafica della spirale della follia innestata, indifferentemente, dalla speculazione, dall’attuale meccanismo del debito e dalla messa in campo di politiche neoliberali.

Interazione tra debito, speculazione, deregulation e applicazione delle politiche neoliberali.

O la borsa o la vita

9 agosto 2011 § 1 Commento

[Libera traduzione dell’articolo di Damien Millet ed Eric Toussaint apparso su Le Monde Diplomatique di Luglio 2011]

Un tempo c’era il “primo mondo”, il “Nord” considerato come la parte prospera del pianeta; il “secondo mondo”, quello dei paesi sovietici; infine il “terzo”, che raggruppava i paesi poveri del “sud”, sottomessi, dagli anni ’80 in poi, ai diktat del Fondo Monetario Internazionale (FMI). Il secondo si è dissolto agli inizi degli anni ’90 con la fine dell’URSS. Con la crisi del 2009 il primo mondo si è rovesciato. E così nessuna divisione geografica sembra davvero pertinente. Non si distinguono che due categorie di popolazione: il pugno di quanti approfittano del capitalismo contemporaneo e la maggioranza, che lo subiscono. Di norma attraverso il meccanismo del debito.

Nel corso degli ultimi 30 anni gli anelli deboli dell’economia mondiale si trovavano in America Latina, in Asia o noi paesi in transizione post sovietica. Dal 2008 anche l’Unione Europea suscita qualche preoccupazione. Mente il debito estero totale dei paesi dell’America Latina raggiunge in media il 23% del PIL (fine 2009), esso si attesta al 155% in Germania, al 187% in Spagna, al 191% in Grecia, al 205% in Francia, al 245% in Portogallo e al 1.137% in Irlanda. Cose mai viste!

Contrariamente agli Stati Uniti che possono abbeverarsi di liquidità attraverso la Federal Reserve, di solito attraverso la scappatoia della creazione di moneta, i paesi dell’Eurozona non hanno questo strumento: lo statuto della BCE impedisce il finanziamento diretto degli Stati. Così. Mentre tra il 2007 e il 2009 si mobilitano per salvare le banche – per un montante totale di 1.200 miliardi di euro in impegni diretti e garanzie accessorie – il loro finanziamento dipende esclusivamente dagli investitori istituzionali: essenzialmente fondi pensione, compagnie di assicurazione e banche private.

Una delle conseguenze inattese della crisi è stata di consentire ai banchieri dell’Europa occidentale, di norma francesi e tedeschi, di utilizzare i fondi che gli erano stati prestati dalla BCE e dalla Federal Reserve per aumentare, tra il 2007 e il 2009, la loro esposizione in parecchi paesi (Grecia, Irlanda, Spagna e Portogallo) realizzando enormi profitti. Tra giugno 2007 (inizio della crisi dei subprime) e settembre 2008 (fallimento di Lehman Brothers), i prestiti delle banche private europee occidentali alla Grecia sono saliti del 33% passando da 120 a 160 miliardi di Euro.

Nella primavera 2010, mentre le turbolenze spazzano la zona Euro, la BCE presta al tasso vantaggioso dell’1% alle banche private. Queste ultime, per tutta risposta, esigono da Paesi come la Grecia una remunerazione ben superiore: dal 4% al 5% per un prestito a 3 mesi, circa il 12% per un prestito a 10 anni. La giustificazione di queste cifre? Il rischio “default” che pesa sulla testa di questi paesi. Una minaccia così incombente che i tassi aumentano ulteriormente: a maggio 2011 il tasso a 10 anni passa al 16,5%. Parallelamente, con l’intento di “rendere fluido” il mercato dei debiti sovrani, la BCE garantisce ormai i crediti detenuti dalle banche private ricomperando i Titoli di Stato… che si è impedita di acquistare direttamente.

È proprio necessario tenere in piedi una tale impalcatura? Innanzitutto, se le banche esigono una remunerazione considerando il “rischio default” non sarebbe coerente affrontare una sospensione dei pagamenti, o, in alternativa, denunciare l’illegittimità di tali comportamenti? Generalmente, invocare uno scenario simile vuol dire scatenare l’evocazione di scenari di caos: uno “scenario dell’orrore”, come l’ha definito M. Christian Noyer, governatore della Banca di Francia[1]. Ma dal punto di vista delle popolazione, non sarebbe più corretto definire “scenario dell’orrore” la messa in atto di quelle politiche di austerità necessarie al pagamento del debito stesso?

Un analista poco sospetto di avere fantasie terzomondiste, Henry Kissinger, ex segretario di Stato americano, ha affermato nel 1989, parlando dei piani di austerità imposti ai paesi sudamericani: «nessun governo democratico può sopportare l’austerità prolungata e la compressione del budget per i servizi sociali attualmente richiesta dalle istituzioni internazionali»[2]. Questo ragionamento è rafforzato dal fatto che i vecchi debiti, essendo in parte coperti da nuove emissioni, non smettono mai di crescere: nel 2009 i Governi dei paesi in via di sviluppo avevano rimborsato l’equivalente di 98 volte il debito contratto nel 1970. Nel frattempo il loro debito si era moltiplicato di 30 volte.

È su questa via che i governi europei indirizzano la loro popolazione rifiutandosi di attivare le leve politiche che permetterebbero di cambiare la traiettoria. Un’altra soluzione si apre per il nord e per il sud. Nel corso degli ultimi anni alcuni paesi hanno scelto di sospendere i pagamenti o di annullare una parte del proprio debito: l’Argentina nel 2001 (grazie ad una sospensione dei rimborsi per 3 anni ha imposto ai propri creditori privati una riduzione di più della metà del debito) e più recentemente l’Ecuador. E tutto senza che si scatenasse il caos: «Tanto la teoria quanto la pratica suggeriscono che la minaccia di una chiusura dei rubinetti è stata probabilmente esagerata»[3], ne ha concluso Joseph Stiglitz, economista a capo della Banca Mondiale tra il 1997 e il 2000. Dal 2003 al 2010 l’Argentina ha registrato un tasso medio di crescita annuo superiore all’8%. La sospensione dei pagamenti non determina necessariamente il cataclisma preconizzato dalle Cassandre del debito. Può essere che un tale atteggiamento sia addirittura legittimo??

Per essere legato ad un prestito c’è bisogno che uno Stato presti il suo consenso liberamente. Da questo consenso nasce l’obbligo al rimborso del debito stesso. Tuttavia questo principio non è assoluto. È assoggettato ai dettami del diritto internazionale. L’articolo 103 della Carta delle Nazioni Unite proclama: «In caso di contrasto tra gli obblighi contratti dai Membri delle Nazioni Unite con il presente Statuto e gli obblighi da essi assunti in base a qualsiasi altro accordo internazionale prevarranno gli obblighi derivanti dal presente Statuto. »[4] Tra tali obblighi, all’articolo 55 della carta, si rileva il presente «[favorire]un più elevato tenore di vita, il pieno impiego della mano d’opera, e condizioni di progresso e di sviluppo economico e sociale;».

I “piani di aiuto” concessi dalla Commissione Europea, la BCE e l’FMI ai paesi in difficoltà (volti a consentirgli di rimborsare i creditori) vanno in questa direzione? Nel 2009 la Lettonia ha visto imporsi una riduzione delle spese pubbliche equivalente al 15% del PIL, una diminuzione dei salari dei funzionari pubblici del 20%, una riduzione del montante delle pensioni del 10% (poi giudicata anticostituzionale), la chiusura di scuole ed ospedali. Nel 1980 la International Law Commission dell’ONU proclamava «Una Nazione non potrebbe, per esempio, chiudere le scuole, le sue università e i suoi tribunali, eliminare la polizia e non interessarsi ai servizi pubblici fino al punto di esporre la popolazione al disordine e all’anarchia, semplicemente al fine di disporre dei fondi per far fronte all’obbligazioni contratte con i creditori internazionali»[5].

La Convenzione di Vienna del 1986, che completa quella del 1969 sul diritto dei Trattati[6] identifica i differenti vizi di consenso che possono portare alla nullità di un contratto di prestito. All’articolo 49 che tratta del “dolo” si legge: «Se uno Stato è stato indotto a concludere un trattato dal comportamento fraudolento di un altro Stato che ha partecipato al negoziato, può invocare il dolo come vizio del suo consenso a vincolarsi al trattato.»[7]. Non potremmo considerare doloso e fraudolento il comportamento dell’FMI considerando la distanza abissale tra i suoi dettami e la realtà dei fatti? L’articolo 1 comma 2 dello Statuto del Fondo gli impone quale obiettivo di «facilitare l’espansione e la crescita equilibrata del commercio internazionale e contribuire così ad istaurare e mantenere elevati livelli di occupazione e di reddito reale e a sviluppare le risorse produttive di tutti gli Stati membri, obiettivi principali della politica economica». Aumento della disoccupazione, crollo dei redditi, privatizzazioni: le misure imposte da tale istituzione portano troppo spesso a tutt’altro risultato. Possiamo infine considerare “libero consenso di uno Stato” quello ottenuto sotto il tiro incrociato della Commissione Europea e dell’FMI?

È lunga la vista di argomenti suscettibili di giustificare una sospensione dei pagamenti e di denunciare la pura e semplice illegittimità di tali debiti. Dopo qualche mese, questa opzione si impone per la sua evidenza. Anche tra gli speculatori: alla fine di giugno, secondo Morgan Stanley e JP Morgan, i mercati stimavano un rischio di default della Grecia all’86% contro il 50% in aprile.

Il fenomeno non è sfuggito ai banchieri. Spaventati dall’idea di vedersi imposto uno spostamento dei pagamenti o una riduzione del valore dei crediti (nel quadro di una rinegoziazione difesa da Berlino) nel 2010 le banche Francesi hanno diminuito la loro esposizione sul debito sovrano geco passando da 19 a 10 miliardi di Euro. Le banche tedesche hanno fatto la stessa cosa: la loro esposizione è passata da 16 a 10 miliardi di Euro. Surrettiziamente, istituzioni pubbliche come l’FMI o la BCE e i governi europei si sostituiscono agli investitori privati. La BCE detiene 66 miliardi di euro di titoli greci (il 20% del totale del debito); FMI e Governi europei sono arrivati attualmente a 33,3 miliardi. Stesso processo si sta verificando in Irlanda e Portogallo. «Vuol dire che in caso di ristrutturazione saranno i contribuenti – al posto degli investitori privai – che pagheranno il conto» ha chiosato il New York Times[8].


[1] Citato da Ingrid Melander e Paul Taylor, «Mises en garde sur un possible reprofilage de la dette greque», Reuters, 24 maggio 2011; http://fr.reuters.com/article/businessNews/idFRPAE74N0BG20110524 .

[2] Citato da Miguel Angel Espeche Gil, «La doctrina Espeche. Illicitud del alza unilateral de lor sintereses de la deuda externa», Instituto hispano-luso-americano de derecho internacional, 15° congrsso, 23-29 aprile 1989, Santo Domingo (Repubblica Dominicana); http://www.derecho.uba.ar/institucional/proyectos/dext_espeche.pdf

[5] Annuario della International Law Commission (http://www.un.org/law/ilc/index.htm), 1980, p. 24 «It will then have to rank its obligations and make provisions for those which are of a more vital interest first. A State cannot, for example, be expected to close its schools and universities and its courts, to disband its police force and to neglect its public services to such an extent as to expose its community to chaos and anarchy merely to provide the money wherewith to meet its moneylenders, foreign* or national. There are limits to what may be reasonably expected of a State*… » http://untreaty.un.org/ilc/publications/yearbooks/Ybkvolumes(e)/ILC_1980_v2_p1_e.pdf

[6] La convenzione del 1969 è entrata in vigore nel 1980. Quella del 1986 è in corso di ratifica.

[8] Landon Thomas Jr. «In Greece, some see a new Lehman», The New York Times, 12 Giugno 2011; http://www.nytimes.com/2011/06/13/business/global/13euro.html?pagewanted=all

Di seguito si riportano i documenti citati in pdf.:

Bisogna pagare il debito?

4 agosto 2011 § Lascia un commento

Da qualche tempo nei circuiti alternativi della stampa internazionale si parla di un tema scottante, e come al solito se ne parla in un’ottica sconosciuta al ristretto panorama delle riflessioni italiane. Il tema, importantissimo, è: il debito pubblico. La domanda che si pone da più parti è la seguente: bisogna pagare il debito?

L’analisi condotta sulla storia del debito, sull’articolazione delle leggi internazionali in materia, sulle opportunità politiche connesse ai pagamenti del debito, sulle conseguenze che il pagamento comporta sulle politiche sociali porta a rispondere un No articolato a questa domanda. Risposta che qui nella penisola non si è mai sentita.

Quali sono i presupposti di questo NO e perché non dovremmo temerlo? Provo a riassumere nella speranza di riuscire a produrre un po’ di letteratura nei prossimi giorni:

  1. Perché dal punto di vista delle politiche del debito quest’ultimo è diventato effettivamente insostenibile solo da quando le istituzioni finanziarie internazionali (FMI, Banca Mondiale, Unione Europea, ecc.) si sono svincolate del tutto dalla politica; in quel momento il potere tecnico di queste istituzioni ha eliminato la capacità dello stato di gestire in maniera flessibile la politica monetaria. Prova ne sia che gli Stati Uniti, che questa politica la controllano per intero, possono indebitarsi per legge senza dover rendere conto a nessuno.
  2. Perché il debito è finito in tutto o in parte in mano a speculatori internazionali, soggetti assolutamente fuori controllo che nella maggior parte dei casi vogliono un ritorno immediato dell’investimento e che strozzano, di conseguenza, le politiche sociali. Tale ordine mentale ed economico è necessariamente estraneo alla lungimiranza necessaria di un governo politico.
  3. Perché, fino a qualche tempo fa, la politica era sempre più potente della speculazione: nell’era mercantile e per secoli, se uno Stato aveva un indebitamento eccessivo semplicemente cessava i pagamenti e, quando le cose buttavano male, eliminavano “fisicamente” i soggetti presso i quali il debito era stato contratto. Ci fu un momento in cui i Medici, i Fugger, i dogi veneziani semplicemente non furono più pagati, con buona pace della carta bollata (sarebbe stato complicato per Firenze invadere la Francia…).
  4. Dal punto 3 ne deriva un altro, fondamentale. Il debitore e il creditore sono strettamente legati e lo sono al crescere dell’indebitamento e del ruolo del debitore. Se l’Italia o la Spagna non resitituissero il debito andrebbero a gambe all’aria parecchie banche ed istituiti di credito perché i debiti di tali Stati sono enormi anche per una banca multinazionale.
  5. Perché, se le politiche restitittive necessarie al pagamento del debito stritolano lo stato sociale e costringono ad un impoverimento collettivo e, di conseguenza, al mancato rispetto del patto sociale stesso, scattano una serie di norme internazionali che, semplicemente, considerano il debito illegittimo. Illegittimo per legge. Sembrerà strano ma è così: secondo le Nazioni Unite se il pagamento del debito elimina i diritti umani sono i secondi a prevalere e non il primo.
  6. Perché le politiche di pagamento del debito creano un circolo vizioso recessivo che aumentano il debito stesso e riducono la possibilità di pagarlo. É quello che accade ad un’azienda che cade in mano agli strozzini. Di norma fallisce.
  7. Perché, e mi rifaccio al punto 6, se sei caduto in mano agli strozzini non metti le mani al portafogli, ma chiami la Polizia e fai arrestare lo strozzino. Semplice, mi sembra.

Ovviamente la questione non è così semplice e c’è debito e debito. Di norma il debito al piccolo risparmiatore va rimesso. Quello verso gli speculatori non va annullato, ma va semplicemente dilazionato e reso più sopportabile.

La conseguenza è che, eliminati gli interessi sul debito l’economia ne riceve un’immediata iniezione di liquidità che consente di far ripartire la macchina e… di pagare il debito dilazionato con più tranquillità. Alla fine della guerra Inglesi ed Americani erano fortemente indebitati, ma potendo gestire la svalutazione monetaria e con una crescita economica sostenuta, pagarono cifre risibili rispetto all’incidenza percentuale del debito di guerra contratto. Se ne deduce che già l’eliminazione dei vincoli imposti dal neoliberismo imperante sarebbero una panacea. Ma anche la semplice dilazione risolve parecchie questioni: Argentina e Bolivia, dopo il crack, decisero di dilazionare. Con la sola dilazione l’Argentina è cresciuta dell’8% annuo. E non c’è stato il temuto effetto caos che tutti paventano.

Non basta? Siamo davvero così pazzi da pagare sull’unghia?
… continua …

Dove sono?

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